Rendimento Obbligazionario – Definizione e Significato

La prima domanda che un investitore si pone quando deve valutare l’acquisto di obbligazioni è quanto rende. Nella maggior parte dei casi, questa domanda è anche l’ultima, nel senso che se il tasso di interesse è giudicato interessante, il risparmiatore procede senz’altro all’investimento.

Porsi soltanto questa domanda è sbagliato, ma ancora più sbagliato è darsi una risposta erronea. Per quanto semplice possa apparire, la nozione di rendimento è, al contrario, piuttosto complessa.
In primo luogo, essa non coincide con il tasso di interesse nominale offerto dal titolo obbligazionario. Se il valore nominale di un’obbligazione è di mille euro e l’interesse pagato annualmente è pari a cento euro, il tasso di interesse nominale è indubbiamente pari al 10%, ma ciò non vuol dire che esso rappresenti in qualche modo il rendimento effettivo di un investimento che ve l’abbia a oggetto.
Questo dipenderà anche dal prezzo al quale l’obbligazione viene acquistata: se è inferiore al suo valore nominale, il rendimento sarà superiore al tasso di interesse nominale, e viceversa. Il valore monetario dell’interesse pagato annualmente infatti rimane costante, poiché costante è per tutta la durata del titolo il valore nominale dell’obbligazione, ancorché il suo prezzo di mercato vari in continuazione. Un interesse annuo pari a cento euro verrà dunque incassato dall’investitore, indipendentemente dal prezzo a cui avrà acquistato l’obbligazione. Se l’avrà comprata al prezzo di 900 euro, egli incasserà cento euro su 900 investiti, ottenendo di conseguenza un rendimento superiore al tasso di interesse nominale, e precisamente pari all’11,1 per cento. Tale percentuale, ottenuta dividendo il valore monetario dell’interesse annuo per il prezzo di acquisto dell’obbligazione prende tecnicamente nome di rendimento immediato.

Per quanto possa dare un’idea più precisa dell’effettivo rendimento dell’investimento obbligazionario, costituisce tuttavia un’approssimazione ancora troppo imprecisa, poiché non tiene conto del fatto che alla scadenza l’obbligazione viene rimborsata al suo valore nominale e non al prezzo di acquisto. Pertanto, l’investitore che l’avesse acquistata a un prezzo inferiore incasserebbe alla scadenza più di quanto avesse sborsato per comprarla. Il “rendimento effettivo” dell’investimento ne risulterebbe così ulteriormente accresciuto, superando pertanto anche il rendimento immediato.
Il tasso di rendimento che tiene conto anche della differenza fra prezzo di acquisto e valore nominale dell’obbligazione è detto rendimento a scadenza o a rimborso. É detto così proprio perché viene calcolato ipotizzando che l’obbligazione sia detenuta fino alla sua scadenza, in modo da dare luogo al suo rimborso al valore nominale. Tale rendimento è superiore al rendimento immediato se il prezzo di acquisto è inferiore al valore nominale, e viceversa.

Da quanto detto, potrebbe sembrare che il rendimento a scadenza sia quello che dia meglio la misura del rendimento effettivo dell’investimento obbligazionario. Ma di norma non è così. Il rendimento a scadenza, infatti, viene calcolato sulla base dell’ipotesi che il capitale inizialmente investito e le cedole incassate siano periodicamente reinvestite allo stesso identico tasso di rendimento, pari appunto al rendimento a scadenza.
L’ipotesi è molto forte e nella realtà non verrà quasi mai soddisfatta (ad eccezione che per i titoli zero-coupon, i quali non pagano cedole), dando così luogo a una discrepanza fra rendimento a scadenza e rendimento effettivo dell’investimento. Molto spesso, infatti, l’investitore non reinveste l’intera cedola incassata, e se anche la reinveste integralmente non la riesce a impiegare esattamente allo stesso tasso di rendimento al quale ha fatto l’investimento iniziale. Di conseguenza, il rendimento effettivo dell’investimento risulterà superiore o inferiore al rendimento a scadenza a seconda che gli interessi siano di volta in volta reinvestiti integralmente e a un tasso di rendimento superiore o inferiore a quello dell’investimento iniziale.
Bisogna poi tenere conto che sul rendimento effettivo di un investimento incidono, oltre alle imposte, anche le commissioni di negoziazione. Il rendimento a scadenza viene talora calcolato tenendo conto dell’onere fiscale – prendendo così nome di rendimento netto – mentre non viene mai calcolato al netto delle commissioni di intermediazione, poiché esse variano da intermediario a intermediario e qualche volta anche da cliente a cliente.

Per tutte queste ragioni è sostanzialmente sbagliato definire il rendimento a scadenza come rendimento effettivo, come peraltro spesso si fa. Perché è chiaro che l’aggettivo ha l’evidente significato di denotare un rendimento che sia stato , mentre è altrettanto chiaro che il rendimento a scadenza non potrà mai essere precisamente realizzato, viste le ipotesi irrealistiche sulla base delle quali viene calcolato. Ma se il rendimento effettivo non coincide con il tasso nominale di interesse, né con il rendimento immediato, né con quello a scadenza, a cosa è uguale? E che significato ha? Quanto al suo significato è molto semplice da esplicitare: esso fornisce una misura di quanto velocemente sia variato il valore nominale dell’investimento iniziale in un determinato arco di tempo. A rigore, dunque, esso può venire calcolato soltanto ex-post, quando sono noti con precisione tutti i flussi di cassa originati dall’investimento. Algebricamente esso è pari alla differenza fra incassi totali (al netto di imposte e commissioni) e spese totali (al lordo delle commissioni) rapportate a queste ultime.

Vale infine un’ultima precisazione: non bisogna confondere il rendimento effettivo con quello reale. Benché l’aggettivo possa suggerire l’idea che si tratti di un sinonimo, nella misura in cui possa denotare un rendimento “realmente” conseguito, in finanza così come in economia l’aggettivo viene impiegato in contrapposizione a . Nominale viene definito qualunque valore origini da un prezzo di mercato storicamente rilevato, reale invece è tale valore depurato dalla componente inflazionistica. Pertanto il rendimento effettivo può essere sia nominale che reale: nel primo caso origina dal confronto del valore monetario di quanto effettivamente incassato alla fine dell’investimento con quanto effettivamente sborsato all’inizio; nel secondo caso, il valore nominale viene opportunamente scontato per il tasso di inflazione. Il tasso reale, in pratica, dà una misura della crescita del potere d’acquisto conseguente i risultati dell’investimento.
Il rendimento reale può approssimativamente essere calcolato come la differenza fra il rendimento nominale e il tasso di inflazione.