Cosa Sono i Warrant
Il warrant funziona in sostanza come un’opzione. Esso attribuisce al detentore il diritto ma non l’obbligo di acquistare un titolo sottostante ad un certo prezzo, quantità e tempo futuro. A differenza di una opzione un warrant è emesso da una società, mentre un’opzione è uno strumento della borsa.
Il valore del warrant può essere scomposto in due parti: il valore intrinseco (intrinsic value) e il valore del tempo (time value). Il valore intrinseco è uguale alla differenza tra il prezzo di esercizio e il prezzo di mercato del bene sottostante e non può essere mai minore di zero.
Le aziende spesso offrono warrant come parte di una nuova emissione in modo da invogliare gli investitori a comprare i nuovi titoli. Da quando viene esercitato il warrant, l’obbligazione assume la denominazione di ex-warrant; circola come un titolo obbligazionario ed è valutata sulla base della cedola offerta ai possessori (v. anche Covered warrant).
Caratteristiche di un warrant
Tutti i warrant hanno una determinata data di scadenza e sono classificati per le loro caratteristiche. Un warrant americano, per esempio, può essere esercitato in qualsiasi momento prima o in corrispondenza della data di scadenza indicata, e un warrant europeo, invece, può essere esercitato solo il giorno di scadenza.
Lo strumento su cui si basa il warrant è riportato sul certificato. Il warrant corrisponde tipicamente ad un numero specifico di azioni, ma può anche rappresentare una merce, indice o di una valuta.
I warrant sono trasferibili ma tendono ad essere ad alto rischio, infatti sono anche un’opzione attraente per gli speculatori. Anche se i prezzi dei warrant sono bassi, l’efficacia e l’indebitamento che offrono è molto alta. Questo significa che esiste un rischio potenziale per i guadagni e le perdite di capitale più elevato rispetto all’investimento.
Read MoreDiritto di Critica del Lavoratore
Nella valutazione della legittimità dell’esercizio del diritto di critica del lavoratore bisogna tener conto: del doveroso contemperamento degli interessi contrapposti di entrambe le parti, ricordando che si tratta di bilanciamento di interessi protetti entrambi a livello costituzionale.
Infatti, se è vero che il diritto di critica è espressione del generale diritto, riconosciuto dall’art. 21 Cost., di manifestare il proprio pensiero con qualsiasi mezzo, è altresì vero che il diritto in questione assume caratteristiche peculiari, in virtù degli obblighi di subordinazione, collaborazione e fedeltà che gravano sul prestatore. Tali obblighi, per un verso, gli consentono di “ingerirsi nelle modalità di esercizio dell’attività dell’imprenditore sotto il profilo dell’incidenza che questa ha sulle condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti”, ma, per l’altro, accentuano “il dovere di chiunque di astenersi, in assenza di adeguate ragioni, dalla diffusione di notizie e di giudizi pregiudizievoli per l’impresa”.
La critica non può essere diffamatoria. “La possibilità dell’esercizio nella sua pienezza del diritto di critica e di azione sindacale, teso alla tutela delle condizioni di lavoro, non può essere incondizionato non potendo arrivare al punto da contenere affermazioni diffamatorie che in quanto tali possono risultare lesive dell’immagine datoriale”.
I principi sono stati affermati dalla Corte di Appello di Napoli, 8 febbraio 2013, n. 294/13, che ha ribadito, in linea con la giurisprudenza maggioritaria (v. da ultimo, Cass. n. 7471/2012), l’esistenza di limiti di forma e sostanza alla manifestazione del pensiero da parte dei dipendenti, qualora la stessa sia suscettibile di ledere il decoro aziendale.
La tutela della persona. In particolare, la Corte ha affermato che il diritto di critica, anche aspra, del lavoratore, pur se rappresentante sindacale, benché garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., “incontra i limiti della correttezza formale imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente garantita (art. 2 Cost.), di tutela della persona umana”. Ne consegue che, dove tali limiti siano superati con l’attribuzione all’impresa datoriale o a suoi dirigenti di qualità apertamente disonorevoli e di riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore può essere legittimamente sanzionato in via disciplinare, per esempio con una lettera di richiamo disciplinare.
La specificità dei fatti. Da un punto di vista formale delle modalità di esercizio del diritto di critica, la stessa può essere “coperta” dalla garanzia costituzionale di cui all’art. 21 Cost. e dall’art. 1 Stat. lav., solo se “la correlata specificità e determinatezza dei fatti denunciati consente al denunciante di poter provare di aver denunziato fatti veri”.
Nella fattispecie, il lavoratore era stato licenziato per giusta causa in quanto la società aveva ritenuto grave la condotta tenuta, consistente nell’invio alla Procura della Repubblica, alla Provincia, alla Camera di Commercio ed alla Mostra d’Oltremare, di una missiva, ritenuta lesiva dell’immagine della società datrice di lavoro, che riportava fatti e circostanze non rispondenti al vero. Dal canto suo, il lavoratore aveva impugnato il licenziamento sul presupposto che la missiva in questione non era lesiva ed era fondata sul diritto di critica riconosciuto al dipendente che espletava attività sindacale. I giudici, dall’esame della missiva, hanno ritenuto che le “accuse recapitate a numerosi e qualificati destinatari e prospettate come fatti di indubbia rilevanza penale (abuso, malversazione di denaro pubblico, gestione clientelare del personale e delle assunzioni, mancata realizzazione dell’interesse pubblico e perseguimento di interessi privati)” erano diffamatorie e caratterizzate da “assenza di indicazioni di dettaglio e di riferimenti a fatti specifici ed accertabili” e che, pertanto, non era possibile verificare se si trattava di accuse veritiere. Conseguentemente, il provvedimento disciplinare adottato doveva ritenersi adeguato.
Read MoreCome e Quando Internalizzazionare
n un contesto internazionale, dove i mercati dei singoli Paesi diventano sempre più integrati, per le piccole e medie imprese diventa fondamentale adottare un approccio che va al di là del singolo mercato domestico. Soprattutto per affrontare e superare le sfide di un mondo che si fa sempre più competitivo. Per una pmi l’internazionalizzazione può rappresentare allora una valida fonte di ricavi e un’alternativa al mercato locale.
Ma cosa si intende per internazionalizzazione? In genere, con il termine internazionalizzazione si intende il processo che porta un’impresa a diventare in qualche modo “internazionale” e dunque a intrattenere rapporti con le imprese estere, con i consumatori e le istituzioni che operano sui mercati stranieri, vendendo i propri prodotti anche al di fuori dei confini nazionali, decidendo di produrre anche all’estero, acquistando da fornitori stranieri o trovando fonti di finanziamento su altri mercati che non sono l’Italia.
Secondo le valutazioni del governo su dati di Unioncamere, oltre settantamila imprese avrebbero potenzialità di esportare. E se a queste si aggiungono anche le 192mila imprese importatrici, l’universo complessivo di chi ha rapporti internazionali arriva a sfiorare le 480mila aziende.
Fare però il passo oltreconfine non è così semplice per una pmi. Spesso i dazi e le barriere tariffarie tendono a scoraggiare le imprese italiane a esportare negli altri Paesi. E questo anche se si tratta di Paesi dell’Unione Europea. Ecco perché una impresa che decide di esportare può appoggiarsi a corrispondenti o agenti commerciali che, operando direttamente sul posto, possono aiutarla e accompagnarla durante tutto il processo di internazionalizzazione ed export.
Se si confronta, però, la situazione italiana con quella di altri Paesi europei si nota che c’è un ampio gap da colmare. Nel processo di internazionalizzazione l’Italia è ancora indietro rispetto a Paesi come la Germania, la Spagna, l’Olanda, ma ha un grande vantaggio da sfruttare: il ‘marchio’ Italia, che non è solo il Made in Italy, ma il credito che gli italiani godono nella business community.
Read MoreDifferenze tra Valore Nominale e Valore di Mercato
Spesso, parlando di titoli, di quotazioni in borsa o, più genericamente, di finanza, ricorrono due termini attorno a cui ruota gran parte delle dinamiche del mercato azionario. Si tratta delle definizioni di ‘valore nominale’ e ‘valore reale’, associate proprio alla circolazione di azioni e obbligazioni.
Per avere ben chiaro il quadro e l’ambito in cui questi due particolari termini assumono grande rilevanza, è necessario capire alcuni passaggi e meccanismi finanziari di base.
Ecco un breve glossario che riassume le fasi dell’emissione di titoli per contestualizzare e far comprendere anche ai non addetti ai lavori, magari interessati ad investire i propri risparmi, la differenza tra le nozioni di ‘valore nominale’ e ‘valore di mercato’.
Il primo passaggio consiste nell’emissione di titoli sul mercato, che può avvenire per iniziativa dello Stato oppure di società private.
Prendendo come caso esemplare la seconda ipotesi, assumiamo che alcune società emettano dei titoli da vendere sotto forma di azioni.
Le azioni vengono vendute una volta determinato il ‘valore nominale ‘che hanno. Di che cosa si tratta? Il valore nominale è un importo convenzionale, stampato sul titolo, che la società emittente si impegna a rimborsare alla scadenza. Partendo dal valore nominale si calcolano gli interessi da pagare attraverso l’emissione di cedole periodiche da parte della stessa società. Mentre per stabilire il valore nominale si fissa un prezzo convenzionale non modificabile, per calcolare il valore reale è necessario calcolare il rapporto tra il patrimonio della società e il numero di azioni che quest’ultima ha emesso. Se l’andamento economico della società varia, quindi, anche il ‘valore reale’ dei titoli si modifica.
Una volta stabilito il valore nominale, è possibile conoscere il capitale sociale della società in questione, che consiste nell’insieme dei valori nominali di tutte le azioni emesse, ossia è nella somma versata dai soci per costituire il patrimonio necessario ad avviare la società. Se il capitale sociale aumenta, le società possono decidere di creare delle nuove azioni da vendere sul mercato.
Oltre a valore nominale e reale, esiste il ‘valore di mercato’: esso è il prezzo di scambio di un titolo sul mercato, che si modifica i funzione della concorrenza che si crea in una stessa sfera di produzione. In Borsa è il valore di mercato ad essere riportato tutti i giorni sul listino.
Sulla base di questi valori differenti, avviene la capitalizzazione, ossia la dinamica per cui si crea un certo dislivello tra valore nominale e valore di mercato. Per calcolare la capitalizzazione bisogna moltiplicare il prezzo di una singola azione per il numero di azioni che compongono il capitale sociale dell’ente che le emette.
Read MoreCosa Sapere per non Sbagliare gli Investimenti
Ogni forma di investimento si può, e si deve, valutare sulla base di alcuni principi: sicurezza, liquidabilità, tempo, redditività, protezione dall’inflazione, diversificazione e rischio. Ogni investitore è interessato ad avere il miglior risultato per ognuno di questi criteri.
Qual’ è l’investimento ideale?
Ecco il misto perfetto, alti interessi e crescita del capitale, sicurezza nel rimborso, certezza di liquidabilità dell’investimento in qualsiasi momento e copertura dall’inflazione. Rassegnamoci a vederlo come una chimera perché un unico prodotto difficilmente potrà soddisfare tutti questi criteri in misura ottimale e quindi per il nostro bene facciamoci subito delle domande che ci portano a privilegiare alcuni criteri invece che altri.
Sicurezza.
La sicurezza di un investimento è legata ai rischi ai quali lo stesso investimento è soggetto. Oggi più che mai, questo è un valore fondamentale. Alcune obbligazioni, per esempio, considerate fino a ieri così sicure, oggi non lo sono necessariamente più. Le performance sono sicuramente un valore ma, prima di tutto, è necessario investire in strumenti che diano la ragionevole certezza di rivedere i propri soldi. Facciamoci sempre questa domanda: capitale garantito? Da chi?
Liquidabilità.
Ha a che fare con la velocità con la quale un capitale, investito in un determinato prodotto, può essere disinvestito. Al giorno d’oggi, è il secondo valore più importante. I rendimenti non valgono nulla se non si possono avere indietro i propri soldi oppure se bisogna aspettare anni per rivederli.
Il Tempo.
Esistono forme di investimento che danno i risultati migliori nel breve periodo, mentre altre si esprimono meglio nel lungo. Chi si avvicina ai fondi azionari dovrebbe scegliere di mantenere l’investimento per un periodo abbastanza lungo (sette-dieci anni), perché statisticamente i rendimenti migliori si ottengono rispettando quest’orizzonte temporale, anche se molto dipende poi dalla tempistica dell’investimento.
Redditività.
Di cosa si tratta? E’ la differenza che si può creare fra il prezzo di acquisto ed il prezzo di vendita di un titolo. Tali rendimenti possono essere pagati regolarmente, a determinate scadenze, o accantonati e liquidati in un’unica soluzione.
Protezione dall’inflazione.
Il raffronto di un rendimento con il tasso di inflazione è sempre importante per stabilire il rendimento reale. Sappiamo che l’inflazione erode il reddito e il capitale e si concretizza in una perdita di potere di acquisto del valore del denaro nel corso del tempo. Quando ci si pone un obiettivo di investimento, è meglio fare i conti anche con l’inflazione che, di norma, non è facilmente determinabile a priori.
Diversificazione.
Se si compra un solo titolo e questo va male, tutto il portafoglio andrà male. Se si comprano dieci titoli si avranno conseguenze negative minori perché il rendimento complessivo non dipenderà da un unico titolo, ma dalla somma del rendimento dei titoli che, normalmente, non si muovono in modo esattamente uguale. La diversificazione ha due regole: non investire in attività troppo simili che abbiano un’alta correlazione e diversificare nel tempo. Se si ha la possibilità di spingersi nel lungo periodo, si ridurrà di molto il rischio dell’investimento azionario mentre, se l’orizzonte è breve, questo tipo di investimento risulterà più rischioso.
Rischio.
Risulta essere determinato dalla volatilità, cioè dalla variabilità del prezzo di una determinata attività finanziaria.