Cosa Sono i Warrant

Il warrant funziona in sostanza come un’opzione. Esso attribuisce al detentore il diritto ma non l’obbligo di acquistare un titolo sottostante ad un certo prezzo, quantità e tempo futuro. A differenza di una opzione un warrant è emesso da una società, mentre un’opzione è uno strumento della borsa.

Il valore del warrant può essere scomposto in due parti: il valore intrinseco (intrinsic value) e il valore del tempo (time value). Il valore intrinseco è uguale alla differenza tra il prezzo di esercizio e il prezzo di mercato del bene sottostante e non può essere mai minore di zero.

Le aziende spesso offrono warrant come parte di una nuova emissione in modo da invogliare gli investitori a comprare i nuovi titoli. Da quando viene esercitato il warrant, l’obbligazione assume la denominazione di ex-warrant; circola come un titolo obbligazionario ed è valutata sulla base della cedola offerta ai possessori (v. anche Covered warrant).

Caratteristiche di un warrant
Tutti i warrant hanno una determinata data di scadenza e sono classificati per le loro caratteristiche. Un warrant americano, per esempio, può essere esercitato in qualsiasi momento prima o in corrispondenza della data di scadenza indicata, e un warrant europeo, invece, può essere esercitato solo il giorno di scadenza.

Lo strumento su cui si basa il warrant è riportato sul certificato. Il warrant corrisponde tipicamente ad un numero specifico di azioni, ma può anche rappresentare una merce, indice o di una valuta.

I warrant sono trasferibili ma tendono ad essere ad alto rischio, infatti sono anche un’opzione attraente per gli speculatori. Anche se i prezzi dei warrant sono bassi, l’efficacia e l’indebitamento che offrono è molto alta. Questo significa che esiste un rischio potenziale per i guadagni e le perdite di capitale più elevato rispetto all’investimento.

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Differenze tra Valore Nominale e Valore di Mercato

Spesso, parlando di titoli, di quotazioni in borsa o, più genericamente, di finanza, ricorrono due termini attorno a cui ruota gran parte delle dinamiche del mercato azionario. Si tratta delle definizioni di ‘valore nominale’ e ‘valore reale’, associate proprio alla circolazione di azioni e obbligazioni.

Per avere ben chiaro il quadro e l’ambito in cui questi due particolari termini assumono grande rilevanza, è necessario capire alcuni passaggi e meccanismi finanziari di base.

Ecco un breve glossario che riassume le fasi dell’emissione di titoli per contestualizzare e far comprendere anche ai non addetti ai lavori, magari interessati ad investire i propri risparmi, la differenza tra le nozioni di ‘valore nominale’ e ‘valore di mercato’.

Il primo passaggio consiste nell’emissione di titoli sul mercato, che può avvenire per iniziativa dello Stato oppure di società private.

Prendendo come caso esemplare la seconda ipotesi, assumiamo che alcune società emettano dei titoli da vendere sotto forma di azioni.

Le azioni vengono vendute una volta determinato il ‘valore nominale ‘che hanno. Di che cosa si tratta? Il valore nominale è un importo convenzionale, stampato sul titolo, che la società emittente si impegna a rimborsare alla scadenza. Partendo dal valore nominale si calcolano gli interessi da pagare attraverso l’emissione di cedole periodiche da parte della stessa società. Mentre per stabilire il valore nominale si fissa un prezzo convenzionale non modificabile, per calcolare il valore reale è necessario calcolare il rapporto tra il patrimonio della società e il numero di azioni che quest’ultima ha emesso. Se l’andamento economico della società varia, quindi, anche il ‘valore reale’ dei titoli si modifica.

Una volta stabilito il valore nominale, è possibile conoscere il capitale sociale della società in questione, che consiste nell’insieme dei valori nominali di tutte le azioni emesse, ossia è nella somma versata dai soci per costituire il patrimonio necessario ad avviare la società. Se il capitale sociale aumenta, le società possono decidere di creare delle nuove azioni da vendere sul mercato.

Oltre a valore nominale e reale, esiste il ‘valore di mercato’: esso è il prezzo di scambio di un titolo sul mercato, che si modifica i funzione della concorrenza che si crea in una stessa sfera di produzione. In Borsa è il valore di mercato ad essere riportato tutti i giorni sul listino.

Sulla base di questi valori differenti, avviene la capitalizzazione, ossia la dinamica per cui si crea un certo dislivello tra valore nominale e valore di mercato. Per calcolare la capitalizzazione bisogna moltiplicare il prezzo di una singola azione per il numero di azioni che compongono il capitale sociale dell’ente che le emette.

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Cosa Sapere per non Sbagliare gli Investimenti

Ogni forma di investimento si può, e si deve, valutare sulla base di alcuni principi: sicurezza, liquidabilità, tempo, redditività, protezione dall’inflazione, diversificazione e rischio. Ogni investitore è interessato ad avere il miglior risultato per ognuno di questi criteri.

Qual’ è l’investimento ideale?
Ecco il misto perfetto, alti interessi e crescita del capitale, sicurezza nel rimborso, certezza di liquidabilità dell’investimento in qualsiasi momento e copertura dall’inflazione. Rassegnamoci a vederlo come una chimera perché un unico prodotto difficilmente potrà soddisfare tutti questi criteri in misura ottimale e quindi per il nostro bene facciamoci subito delle domande che ci portano a privilegiare alcuni criteri invece che altri.

Sicurezza.
La sicurezza di un investimento è legata ai rischi ai quali lo stesso investimento è soggetto. Oggi più che mai, questo è un valore fondamentale. Alcune obbligazioni, per esempio, considerate fino a ieri così sicure, oggi non lo sono necessariamente più. Le performance sono sicuramente un valore ma, prima di tutto, è necessario investire in strumenti che diano la ragionevole certezza di rivedere i propri soldi. Facciamoci sempre questa domanda: capitale garantito? Da chi?

Liquidabilità.
Ha a che fare con la velocità con la quale un capitale, investito in un determinato prodotto, può essere disinvestito. Al giorno d’oggi, è il secondo valore più importante. I rendimenti non valgono nulla se non si possono avere indietro i propri soldi oppure se bisogna aspettare anni per rivederli.

Il Tempo.
Esistono forme di investimento che danno i risultati migliori nel breve periodo, mentre altre si esprimono meglio nel lungo. Chi si avvicina ai fondi azionari dovrebbe scegliere di mantenere l’investimento per un periodo abbastanza lungo (sette-dieci anni), perché statisticamente i rendimenti migliori si ottengono rispettando quest’orizzonte temporale, anche se molto dipende poi dalla tempistica dell’investimento.

Redditività.
Di cosa si tratta? E’ la differenza che si può creare fra il prezzo di acquisto ed il prezzo di vendita di un titolo. Tali rendimenti possono essere pagati regolarmente, a determinate scadenze, o accantonati e liquidati in un’unica soluzione.

Protezione dall’inflazione.
Il raffronto di un rendimento con il tasso di inflazione è sempre importante per stabilire il rendimento reale. Sappiamo che l’inflazione erode il reddito e il capitale e si concretizza in una perdita di potere di acquisto del valore del denaro nel corso del tempo. Quando ci si pone un obiettivo di investimento, è meglio fare i conti anche con l’inflazione che, di norma, non è facilmente determinabile a priori.

Diversificazione.
Se si compra un solo titolo e questo va male, tutto il portafoglio andrà male. Se si comprano dieci titoli si avranno conseguenze negative minori perché il rendimento complessivo non dipenderà da un unico titolo, ma dalla somma del rendimento dei titoli che, normalmente, non si muovono in modo esattamente uguale. La diversificazione ha due regole: non investire in attività troppo simili che abbiano un’alta correlazione e diversificare nel tempo. Se si ha la possibilità di spingersi nel lungo periodo, si ridurrà di molto il rischio dell’investimento azionario mentre, se l’orizzonte è breve, questo tipo di investimento risulterà più rischioso.

Rischio.
Risulta essere determinato dalla volatilità, cioè dalla variabilità del prezzo di una determinata attività finanziaria.

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Come Investire con i Piani di Accumulo

Mille dubbi assalgono gli investitori da quando esistono i mercati finanziari e domande come “La borsa nei prossimi mesi salirà?”, “E’ il momento giusto di entrare?”, “ I mercati sono già saliti molto… è forse il caso di vendere?” vengono poste ogni giorno dagli investitori senza trovare risposta.

Alle volte possono esserci colpi di fortuna guidati anche da un briciolo di buon senso ma vendere sui massimi e comprare sui minimi è un sogno che difficilmente si avvera.

L’affermazione tipica, tante volte sentita, è sempre una…vuoi sapere quando comprare? Basta che osservi quello che faccio io e fai il contrario. Perché? Perché ogni volta che decido di comprare il mercato crolla. E allora che fare? Ovviamente pianificare bene i propri investimenti legandoli a obiettivi reali e a precisi orizzonti temporali ma di questo abbiamo già scritto e torneremo a parlarne nelle prossime settimane.

Un’altra possibile risposta è quella di investire per gradi sul mercato azionario attraverso una strumento dal nome assai particolare il Pac.
Pac non vuol dire pacco, come potrebbe far sembrare il nome ma vuol dire Piano di Accumulo. Investire in un Pac significa acquistare quote di un fondo (azionario, obbligazionario oppure bilanciato) con una scadenza periodica e con un orizzonte temporale medio-lungo ed è particolarmente adatto a chi vuole crearsi un capitale nel tempo (almeno 5 anni) accantonando piccole cifre, pianificando così nel migliore dei modi le entrate e le uscite del proprio risparmio futuro.

Attraverso questo strumento è possibile entrare nei mercati in modo graduale investendo, ad esempio ogni mese, una quota del proprio risparmio a seconda delle disponibilità. Si evita così il rischio di comprare in una sola volta con tutte le difficoltà che conosciamo ma va comunque detto che il rendimento è anche legato al grado di rischio che si è disposti a correre (come sempre nel mondo degli investimenti) e al tipo di prodotto che si sottoscrive.

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Il Nuovo Risparmio degli Italiani

Da Bot people a investitori sempre più consapevoli e attenti al modo di investire e alle opportunità di investimento. Complice anche la rivoluzione tecnologica, negli ultimi 30 anni la figura dell’investitore si è profondamente trasformata. Negli anni 80, la maggioranza dei risparmiatori si affidava, infatti, ai titoli di Stato, che garantivano allora rendimenti a due cifre.

Con il passare degli anni, e lo sviluppo dei fondi comuni di diritto italiano (la cui nascita risale al 1984), sempre più risparmiatori hanno iniziato invece ad avvicinarsi ad altre forme di investimento, modificando la propria propensione al rischio. Nel frattempo, il risparmio gestito ha continuato a crescere, arrivando a sfiorare nel 2014 quasi 1.600 miliardi di euro di masse gestite, e acquisendo un ruolo sempre più importante nella cultura finanziaria degli italiani.

Nel corso dell’ultimo trentennio, quindi, si è espansa molto la conoscenza del risparmiatore, alla ricerca di strumenti capaci di rispondere al meglio alle sue necessità che guardano sempre di più al futuro. Dai titoli di Stato, alle obbligazioni societarie, fino alle azioni e agli etf, passando per i fondi comuni di investimento e per i fondi pensione: sono questi solo alcuni degli strumenti finanziari che vengono utilizzati all’interno di un processo di diversificazione del portafoglio e tutela del patrimonio. Ma se sono nate nuove esigenze di risparmio e di investimento ed è cambiato il volto del risparmiatore/investitore italiano, nella stessa misura si è modificata anche la figura dei professionisti, sempre più preparati per supportare al meglio i clienti nella realizzazione degli obiettivi di medio-lungo termine.

La componente relazionale continua a ricoprire un ruolo importante: mischiando assieme conoscenza e tecnologia, i professionisti possono interpretare al meglio le esigente degli utenti, e fornire soluzioni su misura, capaci di soddisfare i singoli bisogni.

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